giovedì 1 ottobre 2009

L'isola del tempo perso



Silvana Gandolfi, L’isola del tempo perso.
Mi consola che possano essere lì, le chiavi del lucchetto della mia bici. E sicuramente ritroverei anche un po’ della mia pazienza… Avete mai pensato a dove vada a finire quello che perdiamo? C’è un’isola, che assomiglia tanto all’IsolaCheNonC’è (vivace banda di ragazzine e ragazzini sperduti compresa) dove uno strano vulcano erutta tutto ciò che viene perso. Dal giornale, al filo del discorso. Ci approdano anche Arianna e Giulia sempre perdendosi, in circostanze che richiamano tanto “Tom Sawyer”. Nell’isola, il tempo è misteriosamente dilatato, lentissimo, prolungato. Sembra che cinque minuti sulla terra corrispondano grosso modo ad una settimana sull’isola. Un bel vantaggio. Ci sono tramonti lunghissimi e la particolare luce notturna di un’enorme falce di luna coricata. Ci sono anfratti segreti da esplorare e splendidi luoghi in cui giocare, con Daniele, Bruno e gli altri. E un paio di adulti sapienti d’andare a trovare. Ma anche mefitiche paludi, pericolosissime fumarole, e apatici, ma violenti, cannibali. C’è una missione da compiere, pena la scomparsa dell’isola e l’ulteriore abbrutimento dell’umanità. Il mandato, tornati sulla terra, consiste nell’insegnare a…”perdere tempo”, ovviamente. Quanto basta perché ne “l’isola del tempo perso”, di Silvana Gandolfi, musa del tempo nella letteratura per l’infanzia italiana, troviamo un’ avventura condita di umorismo e di importanti spunti di riflessione, domande suscitate, messaggi che si vogliono consegnare… Il tutto in perfetta sintonia con le splendide immagini di Giulia Orecchia, che ricorda vagamente Quentin Blake e sa ri-dire, con sottolineature tutte sue, significati e provocazioni della storia. Per cercare un senso alla vita e alla morte, sembra dirci Silvana Gandolfi, bisogna sapersi perdere. O meglio, saper perdere tempo. E arrivare così dove altrimenti non si avrebbe accesso. Il tempo lento del creare –e far crescere- legami, del soffermarsi a guardarsi dentro o ad osservare gli altri e la natura, il tempo dell’arte e della spensieratezza … non è un deprecabile lusso, ma un bisogno profondo, vitale. Per assaporare la vita stessa. Per riuscire, finalmente, a crescere senza consumarla. La terra e l’isola, così strettamente legate tra loro, sono invece minacciate da un altro tempo perso, ben diverso dal nobile ozio per cui vive l’isola: è il tempo sprecato, il tempo rubato. È il tempo imposto, che induce le persone a fare ciò di cui in realtà a loro non importa, né serve. Il tempo sociale subìto e non scelto, il tempo serrato della massima efficienza produttiva, il tempo preordinato e calcolato. Il tempo rassegnato e apatico dell’indifferenza distratta, della stupidità e della supina mancanza d’iniziativa, il tempo distruttivo e divorante che porta ai grandi disagi di molte società odierne: depressioni, esaurimenti, suicidi, aggressività. Vengono alla mente i Signori Grigi di “Momo”, che vivono del tempo umano rubato, sottratto alla creatività, all’immaginazione e agli affetti. Utilizzando l’illusione del risparmio di tempo. Non si sa per chi, né per cosa. Sembra quasi che le velenosissime fumarole nere dell’isola del tempo perso siano ciò che resta degli gli uomini grigi che si dissolvono. Sembra azzeccata anche in questo caso l’acuta analisi del pedagogista J.Zipes in riferimento al fiabesco romantico “E’ questa la missione storica della fiaba: la cancellazione o la riduzione delle barriere proprie di un tempo irreggimentato, consente all’amore e alla creatività di seguire il loro corso naturale, può condurre ad una storia intesa come prodotto veramente ed autenticamente proprio della persona.” Con forti risvolti sociali e politici, nel richiamo alla liberazione da una sorta di neoalienazione, “Momo” e “L’isola del tempo perso” sono un inno al riappropriarsi dei tempi personali e collettivi, che aiutino l’espressione piena delle potenzialità umane. E quindi che consentano di vivere, nel proprio tempo, anche tempi altri e altre possibili vite, attraverso la creazione di relazioni significative, attraverso l’arte, attraverso il riconoscimento sia dei piccoli miracoli quotidiani che di “momenti forti”, di svolta, di “kairos” nello scorrere del tempo. Tra le suggestioni antiche dei grandi classici e delle fiabe, nel romanzo della Gandolfi sembrano esserci scorci che ammiccano al fantasy di M. Ende, alleggerendolo e attualizzandolo. L’isola ricorda vagamente il regno di Fantasia de “La storia infinita”, e altrettanto vagamente si assomigliano alcune figure, come quella di Daniele, che potrebbe essere accostata ad Atreiu.m Ma è soprattutto l’episodio dell’attraversamento a cavallo della palude, con lo sprofondamento di un cannibale nelle sabbie mobili, a ripercorrere in parte la scena delle Paludi della Tristezza, nel classico di Ende. In entrambi i romanzi esiste la minaccia dell’estinzione della dimensione parallela proprio per l’incapacità nella terra reale di dare spazio e tempo al fantastico. Esiste una dinamica di disperazione contrastata dalla speranza e dalla iniziativa creativa e solidale dell’infanzia. In “Momo”, ne “la Storia Infinita” e ne “l’isola del tempo perso” è comunque l’infanzia ad essere salvifica, dando significato al tempo. Infanzia appoggiata da alcuni adulti che hanno saputo mantenere in loro lo “spirito bambino”. L’infanzia dell’ intraprendenza e del senso di corresponsabilità, dell’ entusiasmo e della commozione. I protagonisti di questi romanzi, infatti, non agiscono solo per sé, ma sono spinti anche da forti sentimenti di amicizia e compassione. In autonomia e libertà, come i Bimbi Sperduti dell’Isola che Non C’è, la comunità dei ragazzi si organizza, decide, si esprime indipendentemente dagli adulti. La risposta che sembrano dare gli autori, alla domanda di senso del tempo, della vita e della morte, sembra essere nello stile di vita stesso. L’appello accorato e instancabile, ma insieme ironico e complice, di scrittori e scrittrici è al non sottrarsi all’avventura del tempo limitato. Nelle sue danzanti potenzialità, nella sua eterna circolarità, e insieme nella positiva irreversibilità. “gl’istrici” della Salani si confermano collana effettivamente stuzzicante e pungente di grande qualità.

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